OREXINE


Quando c’è scarsa disponibilità di cibo, gli animali si adattano con lunghi periodi di veglia, necessari per andare alla ricerca del cibo stesso. È una condizione base per la loro sopravvivenza. Quando trovano da mangiare, se ne sfamano e poi crollano a dormire.

 

Nell’uomo accade la stessa cosa: sonnolenza post-prandiale e difficoltà a prendere sonno a digiuno. Questo alternarsi alimentazione/riposo è regolato da particolari proteine, le orexine (dal greco orexis, appetito), il cui compito è quello di tenerci svegli e attivi per la ricerca del cibo. Trovato il cibo, l’effetto non serve più e crolliamo nella classica pennichella. È probabilmente una sorta di meccanismo ancestrale attuato dal cervello per mantenerci in allerta quando siamo affamati e rilassarci dopo mangiato, così da risparmiare energie per la successiva procacciagione.

Un aumento dei livelli orexinici potrebbe anche essere alla base delle difficoltà di aumentare il peso corporeo sperimentate da molti. Al contrario, livelli ematici di orexine cronicamente molto bassi possono portare a disordini del sonno, come la narcolessia, una rara malattia che porta ad avere sempre sonno e ad addormentarsi di colpo nel bel mezzo della giornata, magari sul lavoro o alla guida.

 

L’inibizione delle orexine, e quindi la sonnolenza post-prandiale, avviene soprattutto se il pasto è stato ricco in zuccheri semplici: il glucosio inibisce l’attività dei neuroni orexinici agendo sui canali dello ione potassio, che normalmente riforniscono di energia le cellule; il glucosio blocca il flusso del potassio e inibisce così i neuroni nell’invio dei segnali di allerta.

Ad ogni modo, le orexine non sono gli unici agenti implicati nella regolazione dell’appetito e del sonno: ugualmente coinvolti sono altri fattori come la ghrelina, la leptina, il neuropeptide Y, la propriomelanocortina, la proteina d'agouti, il sistema degli endocannabinoidi (oltre alle esorfine e alla serotonina).

 

 

 

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