La fame nel ghetto

 

 

Nel 1940, i nazisti delimitarono in Varsavia un’area di quarantena in cui rinchiusero tutti gli ebrei della città. Da quel ghetto nessuno poteva uscire senza autorizzazione e non poteva entrare cibo. A ciascun ebreo spettavano appena 180 calorie: la tessera del razionamento dava diritto solo ad un pezzo di pane e ad una scodella di zuppa a testa.

 

Solo ricorrendo al mercato nero e vendendo ogni loro avere, alcuni riuscivano ad assumere qualche caloria in più. In alcuni casi il cibo veniva a sua volta utilizzato per barattare altri beni. Ad esempio, se qualcuno notava delle protesi dentarie in bocca ad altri poteva offrirgli del pane in cambio di qualche dente d’oro. Se il baratto aveva luogo, l’oro poteva poi consentire di ricavare una razione anche decupla di altro pane. 

 

Questa fu la dieta mantenuta per tre anni. 

E gli ebrei iniziarono a morire. Ad un ritmo di cinquemila individui al mese. I primi a morire erano i bambini e gli anziani. Alcuni decedevano durante uno sforzo fisico, come mentre andavano alla ricerca di un po’ di cibo. Morivano e spesso venivano abbandonati dai loro stessi familiari nei vicoli, nudi e privi di documenti, così che i parenti potessero continuare a utilizzare la tessera del razionamento. 

 

In un rapporto segreto del 21 maggio 1942 si legge: “Qualche giorno fa è stato registrato un primo caso di cannibalismo dovuto alla fame. In una famiglia ebrea, essendo morti nel giro di pochi giorni il padre e i tre figli la madre ha mangiato un pezzo dell'ultimo figlio deceduto. Un ragazzo di dodici anni. Ciò tuttavia non l'ha salvata: anche lei è morta di fame due giorni dopo”.

 

Molti si suicidarono. Si racconta che un giorno una donna si lanciò da un palazzo schiantandosi in un grosso pentolone: I suoi organi e il suo sangue si mescolarono al cibo. Il tutto schizzò per la via e i bambini accorsero in frotte per divorare tutto ciò che riuscivano a recuperare (1). 

Un edificio all’interno del ghetto venne adibito ad ospedale. Agli ebrei fu proibito svolgere la professione di medico. I nazisti sequestrarono finanche i libri perché secondo loro quella razza non aveva diritto alla cultura. Ma un gruppo di medici ebrei riuscì ugualmente a organizzarsi per condurre in modo clandestino delle ricerche. Alcuni incentrarono i loro studi sulla fame, cioè su quella condizione che essi per primi pativano (2).

 

Il dottor Julian Fliederbaum, specialista in endocrinologia, si occupò di studiare il metabolismo dei carboidrati in questi soggetti. Osservò che i pazienti tendevano a rannicchiarsi in posizione fetale. In quella posizione i muscoli alla lunga si atrofizzavano, rendendo difficili anche i movimenti più semplici. Si determinava cioè una forma di distrofia alimentare: “Osservammo la loro debolezza – scrisse il medico – la lentezza dei loro movimenti, i maldestri tentativi di afferrare un pezzo di pane dalla mano del medico, le loro corse, che terminavano sempre con una caduta” (3).

 

I pazienti invecchiavano rapidamente: la pelle diventava secca, squamosa e assumeva una colorazione marrone; i capelli cadevano; la voce si affievoliva; il respiro si faceva pesante (4).

 

La fame  pervadeva ogni istante della giornata. In un diario qualcuno scrisse: “L’uno leggeva negli occhi dell’altro il proprio destino, senza riconoscervisi, perché non esistevano specchi, occorreva affidarsi al senso del tatto” (5). 

 

I bambini vennero studiati dalla dottoressa Anna Brande-Heller (6), che osservò come anche loro tendevano a rannicchiarsi, ma raramente si assopivano, anzi di solito soffrivano d’insonnia. Spesso presentavano una diarrea cronica che non di rado li portava alla morte. Quelli che riuscivano a ristabilirsi, mantenevano problemi nella deambulazione.

 

Il dottor Apfelbaum si occupò della cardiologia, osservando come più il peso scendeva, più il volume ematico aumentava comportando un sovraccarico di lavoro per un cuore già denutrito.

 

Il dottor Szejnman studiò il sangue, descrivendo un’anemia acuta e una riduzione dei globuli bianchi.

 

Il dottor Fajgenblat si interessò degli occhi, descrivendo come anche nei giovani al di sotto dei 30 anni il cristallino si appannasse, come accade negli anziani colpiti da cataratta.

 

Il dottor Stein, insieme al suo assistente, il dottor Fenigstein, eseguì quasi 500 autopsie, osservando come tutti gli organi vitali si rimpicciolissero e individuando come unica causa di morte la fame (7).

 

Di lì a poco, però, i nazisti iniziarono quello che chiamarono “programma di reinsediamento”, che altro non era che la deportazione in massa degli ebrei verso le camere a gas (8). 

Il giorno che i tedeschi offrirono tre chili di pane e un chilo di marmellata a coloro che si fossero presentati in modo spontaneo per la deportazione, gli ebrei accorsero numerosissimi, nonostante sapessero della reale destinazione di quei treni (1).

 

Nell’ospedale, i medici registrarono parenti e amici come pazienti, con l’intento di salvar loro la vita. Ma poco tempo dopo arrivò un nuovo ordine di deportazione. Proprio ai medici fu imposto di operare una selezione tra i ricoverati (9).

 

Decisero di risparmiare i pazienti anziani da quell’orrore, facendoli addormentare con un’iniezione letale di morfina. Tra quegli anziani c’erano anche i genitori degli stessi medici; la stessa soluzione fu adottata per i neonati, avvelenati nelle loro culle (10). 

Quando l’esercito polacco organizzò la rivolta, i tedeschi decisero di avviare l’eliminazione finale. La fame uccideva troppo lentamente. Rasero al suolo l’intero ghetto, fecero irruzione nell’ospedale e prelevarono per la deportazione tutti i ricoverati, uccidendo sul posto quelli che non potevano camminare. 

 

Anche i medici non sfuggirono a quell’ultima follia. Qualcuno scelse di suicidarsi, come il dottor Fliederbaum, che insieme a moglie e figli si lanciò dal quarto piano del palazzo in cui viveva.

 

La dottoressa Heller si rifiutò di lasciare il ghetto, continuando a curare i rivoltosi. Ma fu rinvenuta cadavere qualche mese più tardi.

 

Anche il dottor Stein si rifiutò di lasciare l’ospedale del ghetto presso cui lavorava. Fu deportato con la sua famiglia e ucciso. 

Il dottor Fajgenblat scappò con la moglie. Poi i due furono costretti a separarsi e lui fu ucciso. Lei riuscì a sopravvivere fino alla liberazione, ma quando apprese della morte del marito, si suicidò.

 

Il dottor Szejman riuscì a fuggire dal ghetto, ma fu catturato e ucciso.

 

Pure il dottor Apfelbaum riuscì a scappare. Quindi cambiò nome in Lowalski perché odiava a tal punto i nazisti da non riuscire a sopportare di avere un cognome tedesco. Morì pochi anni dopo.

 

Il dottor Fenigstein fu uno dei pochi a salvarsi: dopo essere stato trasferito di campo in campo, venne liberato dagli americani e si trasferì a lavorare prima a Monaco e poi in Canada (11).

 

In soli cinque mesi quei medici denutriti riuscirono a lasciare alla storia il rapporto più completo sugli effetti della fame estrema (12).

 

 

 


 

BIBLIOGRAFIA

 

1. Russell SA, Hunger: An Unnatural History, Basic Books, 2006.

 
2. Tushnet L, The uses of adversity: studies of starvation in the Warsaw Ghetto, Yoseloff, New York, 1966.

 
3. Frankl V, Man’s search for meaning: an introduction to logotherapy, Simon and Shuster, New York, 1962.

 
4. Winick M, Hunger Disease: Studies by the Jewish Physicians in the Warsaw Ghetto, John Wiley and sons, New York, 1979.

 
5. Corni G, I ghetti di Hitler. Voci da una società sotto assedio 1939-1944, Il Mulino, Bologna, 2001.

 
6. Roland CG, Courage under siege: starvation, disease and death in the Warsavw Ghetto, Oxford University Press, New York, 1992.


 
7. Hilberg R, The Warsaw diary of Adam Czerniakow, Stein and Day, New York, 1979.

 
8. Keller U, The Varsaw Ghetto in Photographs, Dover publications, New York, 1984.

 
9. Kermish J, To live with honor and die with honor!, Selected documents from the Warsaw Ghetto underground archives, Yad Vashem, Jerusalem, 1986.

 
10. Lewin A, A cup of tears, a diary of the Warsaw Ghetto, Basil Blackwell, Oxford, 1988.

 
11. Tushnet L, The uses of adversity, Yoseloff ed, New York, 1966.

 
12. Apfelbaum E, Maladie de famine, recherches cliniques sur la famine exécutées dans le ghetto in Varsovie en 1942, 1946.


 

 

 

 

 

 

 

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