Comfort food

 

 

In altre occasioni mi è capitato di parlare della comfort zone in relazione alla palestra: persone che individuano la propria soglia di sofferenza in allenamento e se ne tengono ben lontani.

 

In casa invece c’è il comfort food.

 

Facciamo un esempio occorso in periodo covid. Vuoi per lo stress, vuoi per il nervosismo, vuoi per il contesto depressivo derivante dalla situazione di semi-reclusione forzata, alcune persone possono aver abusato di alimenti “consolatori”: soprattutto dolci e snack, ma in generale cibi ricchi in carboidrati e grassi.

 

È abbastanza normale, il comfort food non è altro che un tentativo di autocura, di risollevarsi il morale. Il problema è che risollevano anche il peso, come accaduto nel corso della prima ondata covid. Anche questo è normale.

 

A quel punto, però, si rischia di commettere un altro errore. Cioè si può decidere di dimagrire riducendo drasticamente l’apporto alimentare.

 

Motivazione corretta (“Ho bisogno di dimagrire”), approccio sbagliato (“Prima ho ecceduto, adesso mi punisco proibendomi il cibo”).

 

La frustrazione derivante dalla rinuncia forzata al cibo è un’ulteriore fonte di stress. E in questo modo si pongono le basi per una nuova alimentazione emotiva. Resisto oggi, resisto domani, resisto una settimana o due, poi esplodo, mollo tutto e mi rigetto sul cibo con più foga di prima.

 

Perciò su queste pagine raccomando sempre di non fare gli eroi con le diete, perché sul breve termine siamo tutti fenomeni ma è sul lungo periodo che il 90 per cento molla. Fate riferimento alla sezione Recipes di questo sito per avere una visione più ampia del concetto di alimentazione.

  

Dieta sì, privazione no.

 

 

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