Il padre: da Edipo a Narciso

 

Nella strutturazione dell’identità, la famiglia ha un ruolo centrale. Alcuni genitori alternano ambivalenza nei comportamenti e da gesti affettuosi passano ad altri improvvisamente aggressivi, ansiogeni o assenti.

 

Crescere in un contesto familiare di questo tipo può portare il bambino a introiettare un atteggiamento analogo e, una volta adulto, a riprodurre lo stesso comportamento ciclotimico nelle relazioni. Verrà a mancare la fiducia verso l’altro, perché se i genitori non sono stati in grado di supportarli, figurarsi gli altri. In tal modo l’emotività verrà sostituita da un rigido controllo emotivo, cognitivo e comportamentale.

Questo succede anche nei maschi, in cui la figura paterna dovrebbe essere il simbolo con cui confrontarsi e in cui identificarsi. È una situazione abbastanza tipica dei nuovi padri, sempre più “maternalizzati”. Dal padre-padrone, duro, freddo, autoritario al limite dell’anaffettività, ai nuovi “mammi” (1), teneri e accuditivi, che si sono trovati ad assolvere i compiti di esclusiva pertinenza, fino alla generazione precedente, delle donne (pappe, pannolini, biberon, giochi).

Il compito metaforico dell’adolescente è uccidere il padre. Davanti a una figura paterna del genere, il ragazzo non riesce a prendere le distanze, a ribellarsi, a voler scappare di casa. Ci si trascinerà in un rapporto stanco, con un’insoddisfazione di fondo, una rabbia che non trova parole (2).

 

Altre volte, invece, il genitore è eccessivamente presente. Come si diceva, l’adolescenza è una fase della vita in cui il ragazzo smette di identificarsi nella famiglia. Se questo non avviene, il figlio può rimanere intrappolato in un rapporto di sottomissione, con i genitori (o uno dei due, spesso la madre, “adulto dominante”) che impongono al figlio un controllo esasperatamente rigido dei suoi bisogni e desideri. Può anche accadere che un ragazzo “scelga” di ammalarsi per affrancarsi da un tale rapporto di soggiogazione.

 

La madre: da Eros a Thanatos

 

Allora può accadere che, soprattutto nelle bambine, il disturbo sia attuato per la paura di crescere. Non c’è tanto il timore di ingrassare, quanto quello di entrare nell’età adolescenziale, di voler rimanere piccoli e attaccati all’ala protettiva del genitore. Questo soprattutto se c’è in atto una situazione di separazione dei genitori (“Non mangio, dimagrisco, così ho bisogno delle cure di mamma e papà”), per cercare di tenere unita la coppia, e questo inibisce di nuovo il processo di indipendenza del ragazzo (3).

 

Se l’infanzia viene superata, la pubertà è un momento altrettanto delicato: il corpo si trasforma, in maniera più evidente nelle ragazze, e la reazione può essere una concentrazione ossessiva sul corpo, un rigido controllo del cibo e uno stile di disciplina ferreo con un solo obiettivo: astenersi dal cibo e dai desideri corporei per perseguire la magrezza e spogliarsi dei caratteri sessuali adulti.

Molti genitori non si spiegano la caduta delle figlie in un disturbo alimentare quando fino a poco tempo prima le descrivevano come bambine modello: introverse ma meticolose, diligenti, studiose, brave a scuola. In realtà, se si ascoltasse la versione delle figlie, quasi sempre si scoprirebbe come già allora si sentissero inadeguate e si preoccupassero di non meritare l’amore dei genitori perché non abbastanza brave e buone. Un rapporto basato sull’incomunicabilità esistenziale che porta all’alienazione. Nella testa di queste bambine, compiacere i genitori significa essere la dimostrazione della loro perfezione.

Tuttavia la famiglia oggi è vista non come causa centrale nell’insorgenza del disturbo, ma soprattutto come fattore di mantenimento. Questo anche perché il ruolo dei genitori diminuisce man mano che i ragazzi crescono e le risposte dei pari diventano più importanti di quelle delle famiglie (4). Ciò può rappresentare un ulteriore fattore di rischio perché con i coetanei si finisce per confrontarsi, e il confronto può rivelare svalutazioni e relegare a un’emarginazione nel gruppo. Lo sviluppo di una profonda insoddisfazione del proprio corpo decresce fortemente l’autostima e spinge a restrizioni dietetiche per cercare di alleviare il profondo malessere psichico in cui si è sprofondati. 

La famiglia ha senz’altro un ruolo nell’eziologia della patologia ma, essendo disturbi multifattoriali, a determinare se ci si ammalerà sarà un complesso di condizioni come la predisposizione genetica, l’influenza ambientale (tra cui appunto la famiglia) e altri elementi di natura psicopatologica (5).

 

Spesso nei genitori scatta un senso di colpa rispetto all’idea di essere la causa del problema del figlio; è importante cercare di debellare un sentimento del genere, perché la colpa porta depressione e da depressi non ci si può prendere cura degli altri. La famiglia deve soprattutto imparare ad accettare e contenere il dolore, accoglierlo. Deve dare speranza al figlio: se la famiglia cede durante il percorso di recupero, le probabilità di guarigione diminuiscono moltissimo. 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Deriu M. La fragilità dei padri. Il disordine simbolico paterno e il confronto con i figli adolescenti. Unicopli. 2004.
  2. Dalla Ragione L, Scoppetta M. Giganti d’argilla. I disturbi alimentari maschili. Il pensiero scientifico. 2009.
  3. Miranda-Mendizabal A et al. Gender differences in suicidal behavior in adolescents and young adults: systematic review and meta-analysis of longitudinal studies. Int J Public Health. 2019 Mar;64(2):265-283.
  4. Hosseini SA, Padhy RK. Body Image Distortion. 2020 Jul 2. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing.
  5. Pop-Jordanova N et al. Anorexia: Anormal Phobia of Normal Weight. Pril (Makedon Akad Nauk Umet Odd Med Nauki). 2017 Sep 1;38(2):45-53.

 

 

 

 

 

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